monaci Zen

Qual’è il significato che sta dietro questa pratica

Tratto da Living by Vow di Shohaku Okumura
Libera traduzione di Dharmazen

Dai sai gedappuku
Musa fukuden e
Hibu nyorai kyo
Kodo shoshu Jo

Come è grande la veste della Liberazione
La veste del campo di meriti infiniti
Invero con fede gli insegnamenti del Buddha
per aiutare gli esseri

Quando Dogen Zenji andò in Cina e iniziò la sua pratica nel monastero di Tiangtong nel 1223, vide che nel sodo (sala dei monaci), i monaci ponevano il loro okesa piegato (il termine formale per kesa, o tunica del monaco) sulla testa testa con venerazione e recitavano ogni giorno questi versi dopo lo zazen mattutino.
Aveva letto di questa pratica nell’Agama Sutra, ma non l’aveva mai vista fare.
Quando udì la recitazione di questi versi e vide i monaci indossare il loro okesa, fu profondamente impressionato.
Dogen Zenji riportò questa esperienza nel capitolo Kesakudoku (Virtù della Kesa) dello Shobogenzo: “A quel tempo, sentivo di non aver mai visto una cosa così armoniosa.
Il mio corpo fu pieno di gioia e lacrime di gioia caddero silenziosamente, inumidendo il bavero della mia veste.
Il giovane Dogen si ripromise di trasmettere questa pratica in Giappone e così, negli ultimi ottocento anni nel lignaggio di Dogen Zenji abbiamo recitato questi versi ogni mattina dopo lo zazen, quando indossavamo i nostri kesa o rakusu.

Rakusu, la versione ridotta del kesa da indossare in ambiti informali.
Kesa

Lo stesso Buddha decise il disegno del kesa.

Un re, che era anche uno studente laico del Buddha Shakyamuni andò a visitare il Buddha.
Sulla strada vide un praticante religioso attraversare la strada. Pensò che si trattasse di una discepolo del Buddha e scese dal suo carro per salutarlo. Quando scoprì che non era un monaco buddista, si sentì un imbarazzato.
Chiese quindi a Shakyamuni Buddha di preparare un abito particolare per i suoi discepoli in modo che potessero essere facilmente riconosciuti come monaci buddisti.
Un giorno il Buddha, camminando in campagna con il suo assistente Ananda, notò delle risaie con delle piantine verdi e circondate da sentieri che formavano degli schemi geometrici. Nella stagione delle piogge sono particolarmente belli quando il riso inizia a crescere.
Il Buddha fece osservare questo ad ad Ananda: “Questi campi sono così belli. Si potrebbe fare un abito con queste forme? ” Ananda fu d’accordo.
Il Buddha aveva concepito il modello e Ananda ne creo il design. Da allora, i praticanti buddisti hanno indossato l’okesa in tutte le tradizioni e in tutti i paesi. […]

Il kesa è il corpo del Buddha e la mente del Buddha. Il kesa è chiamato la veste della liberazione, la veste della campo di virtù e la veste del senza-forma. È anche chiamata la veste della della pazienza, la veste del Tathagata, la veste della Grande Compassione, la veste dello stendardo della vittoria (contro l’illusione)
e la veste dell’illuminazione insuperabile. In verità, dovremmo riceverlo e mantenerlo con grazia e rispetto ”.
Questi sono tutti nomi diversi per l’okesa usata in varie scritture buddiste. […]
Il primo nome per il kesa è Veste della Liberazione. La parola sanscrita kasaya si riferisce a un colore indefinito, (ejiki). Per fare i kesa, i monaci indiani raccoglievano stracci abbandonati nei cimiteri e buttati via, in modo che non avrebbero originato alcun attaccamento al materiale. Tagliarono gli stracci a pezzi e li lavarono, tinsero e li cucirono insieme.
Non venivano tinti con colori puri come il blu, giallo, rosso, nero o bianco, ma utilizzavano colori indefiniti ottenute mischiavado tinture diverse per scurire il tessuto e rendendolo privo di valore per i gusti delle persone.
Il kesa era fatta di materiali senza valore e poco attrattivi per le persone. Ancora oggi se abbiamo del nuovo materiale con cui realizzare un kesa, lo tagliamo in pezzi in modo che il materiale perda il suo valore. Nessuno vorrebbe rubarlo. Questo è il motivo per cui il kesa è esente da attaccamenti.
Nel buddismo, le cose libere da attaccamento sono pure. Quando veniamo ordinati buddisti, riceviamo il kesa come simbolo della nostra fede negli insegnamenti del Buddha. Ciò significa che anche noi manifestiamo l’intenzione di voler essere liberi dall’attaccamento dell’Io.
La costruzione del kesa simboleggia il vuoto dei cinque skandha. I pezzi provengono da ogni parte, vengono cuciti insieme e prendono temporaneamente la forma di abito. Il kesa è un esempio di vuoto o mancanza di egoismo (anatman), impermanenza e origine interdipendente.
Quindi l’abito è molto più di una semplice veste per farsi riconoscere come praticanti buddhisti; incarna gli insegnamenti di base del Buddha. […]

Takkesa ge – La recitazione della vestizione
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