Nel 1191 quando il monaco giapponese Myoan Eisai (1141-1215) tornò dalla Cina, dopo essere diventato maestro Zen, il buddhismo in Giappone era già presente da diversi secoli. L’aristocrazia di corte dell’epoca non era interessati a questa nuova via a causa della mancanza di ritualità, della severa disciplina e della scarsa propensione alla speculazione filosofica.
L’emergente nobiltà guerriera trovò invece nello Zen, con la sua visione neo-confuciana del mondo, la propria dottrina. La risposta pronta e intuitiva del koan, il concetto secondo il quale una mente istruita era per certi versi, più un impedimento che un vantaggio, la disciplina, erano caratteristiche molto vicini agli ideali del samurai. Così Eisai fu chiamato a condurre un tempio di Kamakura, la capitale dell’epoca fondata in un campo militare.
Nel 1227 un altro maestro giapponese di ritorno dalla Cina portò lo Zen della Scuola Caodong (in giapp. Soto). Dogen Kigen cercò di rendere lo Zen accessibile a tutti gli strati sociali, scrisse diversi saggi divulgativi in giapponese (allora la lingua usata dalla cultura era il cinese). Dogen fondò il suo primo tempio, il Kosho-ji a Kyoto, dove in breve tempo divenne conosciuto. Fu spesso osteggiato da altre scuole buddhiste e fu costretto a trasfersi più volte.
Nel 1243 fondò Eiheiji (Il tempio della Felicità), uno dei due templi più importanti del Soto Zen giapponese. La sua dottrina basata principalmente sullo zazen, che si richiama nuovamente all’essenza dell’insegnamento originario, voleva essere più pragmatico e libero da ogni sovrastruttura.
10 – Lo Zen arriva in Giappone